Le va incontro sorridendo, quando la vede entrare in classe alla prima ora; stranamente lui è arrivato puntuale e lei invece sul filo della campanella, quando di solito accade l’esatto opposto.
“Scusami per ieri,” dice. “Ho chiesto un passaggio in macchina a mio fratello e tra il tempo che ci ha messo lui a muoversi e due chiacchiere che abbiamo fatto lungo il tragitto, sono arrivato alle sette a casa tua. Te l’hanno detto che sono passato?”
Anche Francesca sorride, contenta.
“Sì. Però dovevo uscire. Pensavo saresti passato prima.”
Lui le prende le mani, brevemente, le stringe e poi le lascia.
“Non devi giustificarti. Sono io che ho fatto tardi. Ti avrei avvisata però… mio fratello ha la capacità di convincerti di essere pronto e poi non essere mai pronto, ero costantemente convinto ce ne saremmo andati in cinque minuti, tempo di fumare una sigaretta e avrà finito, invece non finiva mai. Sono io che avrò finito mezzo pacchetto.”
Lei mormora ancora che “non fa niente” e in quella entra la professoressa di italiano, tutti vanno a sedersi: Enrico all’ultimo banco sulla destra e lei al secondo sulla sinistra, posizioni da cui riescono a malapena a vedersi.